intervista alla blogger Leena Ben Mhenni
Di Giuditta Pellegrini
Leena Ben Mhenni rappresenta la nuova generazione di giovani tunisini che da tempo si battono per una democrazia laica e incentrata sulla partecipazione popolare. Il suo blog, A tunisian Girl (atunisiangirl.blogspot.it), più volte vittima della censura attuata dalla dittatura di Ben Ali, e una delle maggiori fonti di informazione per attivisti e giornalisti durante la rivoluzione, torna a rivestire il ruolo di importante voce critica in un momento in cui l’assemblea costituente eletta ad ottobre con il compito di redigere la nuova costituzione e guidata dal partito islamista di maggioranza Ennahdha, sta raccogliendo sempre maggiori dissensi a causa delle sue mancate promesse e per le numerose proposte che minano le libertà personali. La posizione troppo accondiscendente da parte del governo nei confronti dei gruppi di estremisti religiosi salafiti, le cui aggressioni nei confronti di artisti, donne vestite all’occidentale, attivisti sono sempre più frequenti, ha destato una comprensibile apprensione tra la vigile popolazione, accendendo focolai di protesta in tutto il Paese, che si propagano nonostante la forte repressione da parte della polizia. I maggiori attacchi rimangono comunque quelli nei riguardi dei diritti delle donne e al Codice dello Statuto Personale promulgato nel 1956 dall’allora presidente Habib Bourguiba, che sanciva l’uguaglianza dei sessi (salvo nell’eredità) facendo della Tunisia uno dei paesi arabi più liberali. E se le proposte di Ennahdha di reinserire la sharia e la poligamia hanno provocato una forte reazione e sono state sventate anche grazie al fermo no dei partiti d’opposizione, la preoccupazione di una regressione dai diritti acquisiti si rinnova giorno per giorno e il 13 agosto (giorno della festa della donna, in cui si celebra l’anniversario della promulgazione del Codice di Statuto Personale) le donne sono scese in piazza a Tunisi contro una nuova proposta avanzata dall’attuale governo che prevede la definizione della donna nella costituzione come complementare all’uomo, e non più in termini di uguaglianza.
E’ all’indomani di questa manifestazione che incontriamo Leena Ben Mhenni:
A tunisian girl: intervista a Leena Ben Mhenni
Leena Ben Mhenni ci accoglie nella sua casa alla periferia di Tunisi, all’indomani della manifestazione che le donne hanno organizzato contro i nuovi tentativi del governo di relegarle a mero attributo dell’uomo. Il suo sguardo è fiero e serio e sul suo corpo sono ancora visibili i lividi delle percosse che le ha inferto la polizia durante una manifestazione pacifica in favore della libertà di riunione. E’ preoccupata, per la situazione e per la sua incolumità personale, su cui incombe, ancora una volta e come durante la dittatura l’ombra sinistra di una censura che mira a reprimere ogni tentativo di partecipazione democratica. Sul suo blog si moltiplicano le denunce di repressione da parte del governo e dei gruppi religiosi estremisti nei confronti di attori di teatro, giornali, media e, soprattutto, verso le donne:
GP, Leena, questo è un momento molto importante della post rivoluzione in Tunisia in cui si sta scrivendo la nuova Costituzione: qual è la situazione e perché siete di nuovo in piazza a manifestare?
LBM: Quando si osserva la situazione attuale in Tunisia si ha l’impressione di essere molto lontani da quello che dovrebbe essere un processo di transizione verso la democrazia. Il governo attuale non è in sintonia con le richieste del popolo: invece di iniziare a lavorare ad un programma per il momento il dibattito è fermo su argomenti che riguardano la religione e l’identità, cosa del tutto inedita per i tunisini, che sono sempre stati un popolo tollerante e si sono sempre accettati gli uni con gli altri. Uno dei dati più preoccupanti è il ritorno ad una forte repressione da parte della polizia, la quale si autodefinisce repubblicana, ma che in realtà ha dimostrato di essere partigiana del partito islamista Ennahdha e che sembra agire in coordinamento con i gruppi salafiti. Quest’ultimi rappresentano una grave minaccia alle libertà personali: abbiamo visto molti attacchi alle donne, aggredite per strada perché indossavano una minigonna e durante il mese di Ramadan alcuni locali hanno subito blitz da parte di polizia e salafiti affinché rimanessero chiusi, mentre in Tunisia si è sempre stati liberi di scegliere se praticare o meno il digiuno e se aprire o no il proprio ristorante, soprattutto nelle zone turistiche.
La polizia esercita maniere molto forti contro la gente che manifesta, utilizzando lacrimogeni, proiettili di gomma, e numerosi fermi: questo è successo a Sidi Bou Said, a Sfax, dove sono stati arrestati dei sindacalisti e anche nella capitale. Lo scorso 5 agosto io stessa sono stata aggredita durante una manifestazione pacifica in favore della libertà di riunione. Inoltre il governo non riesce a gestire i reali problemi del paese: manca l’elettricità in molte zone e le strade sono invase dalla spazzatura, tanto che si è scatenata un’epidemia di colera. È un periodo molto difficile: si ha l’impressione che la rivoluzione sia stata confiscata, dal momento che quasi nessuno dei suoi obiettivi è stato realizzato.
GP: Una delle caratteristiche della dittatura di Ben Ali era la totale mancanza di libertà di espressione. Le persone avevano paura di esprimere le proprie idee e di essere perseguitate per una soffiata e tu stessa sei stata vittima della censura a più riprese. Credi che ora le cose siano cambiate?
LBM: Nei primi mesi successivi al 14 gennaio abbiamo avuto un periodo di euforia rivoluzionaria in cui sembrava ci fosse una grande libertà di espressione, ma ho l’impressione che la stiamo perdendo giorno dopo giorno. Pochi giorni fa per esempio l’artista Lotfi Abdelli ha dovuto annullare il suo spettacolo teatrale a Menzel Bourguiba perché alcuni salafiti hanno minacciato di intervenire con la violenza. La cosa più preoccupante è che di fronte a questi atteggiamenti irresponsabili il Ministero dell’Interno non fa nulla, mentre quando si tratta di manifestazioni pacifiche per reclamare dei diritti la repressione è sistematica.
Anche i media ufficiali sono vittima della censura. Lo abbiamo visto per esempio nel caso della catena televisiva privata Nessma il cui proprietario è stato denunciato per aver mandato in onda il cartone animato Persepolis con l’accusa di “attentato ai valori religiosi”(1). Tutto ciò rappresenta un attacco alla libertà d’espressione per certi versi più feroce di quello esercitato dalla dittatura di Ben Ali, perché allargato a tutti gli strati della società civile e non più mirato ad ostacolare chi si occupava in maniera diretta di politica come blogger, attivisti o politici.
GP: Quali sono le proposte di Ennahdha che contestate come donne?
LBM: I diritti delle donne in Tunisia sono via via più minacciati. Prima del 14 gennaio 2011 le associazioni femministe lottavano per chiedere l’uguaglianza dei sessi anche negli ambiti non riconosciuti dal Codice dello statuto Personale, e cioè quello che riguarda l’eredità, mentre adesso dobbiamo lottare per preservare i diritti che abbiamo già, e questo è inaccettabile dal momento che le rivoluzioni si fanno per avere una vita migliore e non per regredire. Anche se le leggi non sono ancora cambiate, il governo sta cercando di indottrinare la gente perché faccia pressione sulle donne. Per strada molte donne non velate vengono aggredite verbalmente: è così che si comincia a perdere dei diritti.
Il governo ha provato a cambiare le leggi che tutelano i diritti delle donne con proposte inaccettabili: ha invocato il ritorno alla poligamia e l’applicazione della Sharia, la legge coranica così come è in vigore in Arabia Saudita. Fortunatamente c’è stata una reazione immediata della società civile, che ha fatto pressione affinché ciò non avvenisse. In questo momento stiamo lottando contro la proposta fatta dai leader di Ennahdha che prevede nella costituzione la definizione della donna come complementare all’uomo e non più in termini di uguaglianza: una definizione che va contro ogni convenzione internazionale. Il termine complementare è troppo vago: si può essere complementari senza essere uguali né nei diritti né nei doveri, mentre quello che noi chiediamo è l’eliminazione di ogni forma di discriminazione.
GP Questa pressione sociale potrebbe far desistere le donne a partecipare alla vita pubblica e politica?
LBM: Fortunatamente la maggior parte delle donne tunisine sono coscienti dei loro diritti e sono pronte a lottare per difenderli. Lo abbiamo visto durane la manifestazione del 13 agosto, partecipatissima da donne che credono nell’uguaglianza fra sessi, e che sono scese in piazza per dire: siamo qua, siamo contro questa regressione. Io credo che le donne tunisine si impegneranno ancora di più nella vita pubblica proprio in vista di questo pericolo.
GP: L’utilizzo del velo è sempre più diffuso fra le donne tunisine, soprattutto nelle zone più periferiche. Credi che questo sia un sintomo di capitolazione delle donne, soprattutto di quelle che vivono in aree più tradizionaliste rispetto a Tunisi?
LBM: l’utilizzo del velo si propaga a vista d’occhio in tutta la Tunisia, compresa Tunisi e questo è il risultato della pressione sociale. Ma anche le donne col velo tengono ai loro diritti. In Tunisia ci sono intere famiglie che vivono grazie al lavoro femminile. Per esempio nelle zone rurali sono le donne le più impiegate, perché accettano di lavorare nei campi per salari più bassi di quelli che sarebbero pagati agli uomini: esse hanno tutta la famiglia a carico e non possono rinunciare ai propri diritti.
GP: Qual è il tipo di governo che auspicate ?
LBM: Il mio ideale di governo è un modello laico, in cui la politica e la religione siano separate: la religione è individuale, è una relazione tra Dio e la persona, non si possono mischiare le cose. Io sogno una democrazia in cui tutti i tunisini possano vivere insieme nonostante le loro differenze di religione, di ideologia, di costumi. La Tunisia deve essere per tutti i tunisini, nessuno escluso.
GP: E quanto credi sia vicino questo obiettivo?
LBM: il cammino è ancora molto lungo, si profilano dei periodi difficili, ci saranno altre rivolte e la gente continuerà a fare resistenza e a battersi per i propri diritti: ci vorranno anni e anni prima di raggiungere il nostro obiettivo. Ma non ci fermeremo: la rivoluzione continua!
(1) Persepolis, il fumetto dell’iraniana Marjane Satrapi, poi divenuto cartone animato, è stato censurato per aver mostrato una rappresentazione personificata di Dio.